– Voglio andare a Roma.
– Bene! A visitare cosa: il Colosseo, i Fori, il Vaticano?
– No, i quartieri popolari nelle periferie!
Per quanto un dialogo del genere possa sembrare paradossale, da qualche anno a questa parte rispecchia in realtà un’alternativa possibile, anzi, desiderabile.
Oltre ai classici tour che permettono di godere la Roma repubblicana o imperiale, rinascimentale o ottocentesca, infatti, negli ultimi tempi viene offerta sempre più la possibilità di vivere pure una Roma attuale, e di farlo attraverso quell’espressione artistica che meglio di qualunque altra esprime la contemporaneità: la street art.
Incuriosita dall’ennesima possibilità offerta dall’inesauribile Città Eterna, ho quindi deciso di attraversare i quartieri periferici interessati da queste opere di riqualificazione artistica, accompagnandovi in due zone della città assai colorate e vitali: Tor Marancia e Ostiense.
Dopo il Pigneto, San Basilio e Testaccio, nel 2015 è stato infatti Tor Marancia, quartiere popolare alle porte dell’EUR, a essere interessato dal progetto denominato “Big City Life”; progetto finalizzato a dare una nuova centralità alle periferie, anime moderne delle città di oggi, oltre che a rafforzare il tessuto sociale ed educare alla bellezza chi pensa di non poterne beneficiare.
“Big City Life” è un progetto che significa creatività, libertà e bellezza ma anche 765 litri di vernice, 974 bombolette spray, 70 giorni di lavoro e un totale di 2500 mq di superfici coinvolte, per 20 murales realizzati da altrettanti artisti provenienti da 11 paesi diversi in una zona che ha acquistato, grazie a loro, nuova vita. Arrivata alle undici palazzine del comprensorio 1 di Via Tor Marancia 63, mi imbatto subito in uno strano benvenuto: a quanto pare qui Shangai e Roma si incontrano, rendendo la Cina davvero più vicina.
Il perché di questo nome lo scopro solo più tardi, quando faccio la conoscenza di due anziane signore del quartiere, intercettate al ritorno dal mercato. Scopro così che l’appellativo “Shangai” è rimasto conficcato in Tor Marancia dall’epoca fascista, nei tempi in cui questa periferia, oggi piano piano inglobata dal centro di una Roma in perenne espansione, era veramente lontana dalla città, al di fuori della sua ricchezza e dei suoi traffici. Tanto che la gente, povera e disperata, quando diventava morosa e non riusciva a pagarsi casa, veniva stipata da Mussolini proprio nei pressi dell’attuale quartiere di Tor Marancia, soprannominato, per evidenti motivi di sovraffollamento e di pessime condizioni di vita, appunto, Shangai.
Il passato del quartiere, come mi spiegano le due donne, è stato una delle fonti di ispirazione per gli artisti provenienti da tutto il mondo che fra il gennaio e il febbraio 2015 si sono ritrovati per dare nuova bellezza a questa parte di Roma troppo spesso dimenticata.
Dal ricordo di quella Shangai dei tempi di guerra e dall’esigenza di una nuova protezione al quartiere, è nata così anche la “nuova patrona” di Tor Marancia: Nostra Signora di Shangai, che le due signore dimostrano subito di apprezzare. Tanto da farmi notare la scritta sottostante il grande murale, a metà fra la preghiera e l’asserzione, fatta nel nome degli abitanti del quartiere: “sotto la tua protezione cerchiamo rifugio.”
La particolarità che si nota subito, infatti, non appena si arriva a Tor Marancia, è che questo esperimento di riqualificazione urbana, promosso dall’associazione culturale 999Contemporary e sostenuto dall’Assessorato alla Cultura, dalla Fondazione-Roma-Arte-Musei e dall’Ater, nonché patrocinato dal Municipio VIII di Roma Capitale, non è rimasto un tentativo istituzionale di imporre un decoro a zone degradate e con alti tassi di delinquenza, ma si è calato all’interno delle dinamiche del territorio per trarre spunto dalla vita della zona e creare quelle opere che l’hanno poi invasa e abitata. Le signore, ormai mie amiche, mi svelano a tal proposito un altro aneddoto: una delle opere più rappresentative del quartiere, “Il bambino redentore” dell’artista francese Seth, a occhi inconsapevoli può sembrare infatti la semplice rappresentazione di un ragazzino curioso, ma è stato il risultato di un dialogo fra l’artista e gli abitanti del luogo, che hanno manifestato il desiderio di ricordare con quell’opera un bambino morto anni prima nel cortile.
Il dialogo fra abitanti del luogo e artisti provenienti da tutto il mondo ha caratterizzato insomma la creazione di questo vero e proprio museo all’aria aperta, nato in simbiosi con i luoghi che lo ospitano e volto a rendere coloro che vi sono nati o cresciuti dei custodi attenti e abitanti orgogliosi dei propri spazi. Le signore, per esempio, mi spiegano come non avessero inizialmente capito che l’opera di Domenico Romeo dal titolo “Alme sol invictus” fosse una meridiana (e mi fanno chiaramente intendere quanto poco l’apprezzino) mentre sono rimaste stupite da Pantonio, l’artista che ha dipinto su una palazzina delle straordinarie balene danzanti.
Pensare che solo poco prima, mi svelano, l’artista era partito da un’idea del tutto diversa, ma poi, ascoltando il parere degli abitanti e temendo i fili pericolosi che pendevano dalla cima del palazzo, ha improvvisato un cambiamento radicale e spettacolare insieme, regalando al quartiere un branco di balene che sembrano giocare fra le finestre e i deumidificatori della palazzina.
Coinvolta in questo gioco, anch’io mi diverto a passeggiare in mezzo a queste grandi e variegate opere, decidendo quali mi colpiscono di più e quali invece non mi trasmettono poi molto. D’altronde, uno dei vantaggi dell’arte contemporanea, specialmente quando vive in mezzo alle persone comuni, è proprio quella di offrirsi totalmente ai giudizi della gente, senza preconcetti né obblighi di comprensione, restituendo all’arte una piena dimensione di socialità e di libertà. Eccovi quindi le mie opere preferite: fra le tante, mi piace citare “Io sarò” di Guido Van Helten (con una bambina che sembra appena uscita da una foto di McCurry) e “Assolo” di Danilo Bucchi, moderna Dorothy dalle scarpette rosse.
È proprio Danilo Bucchi a ricordare come questo sia “un museo per il popolo, frequentato da un pubblico molto più spietato e più diretto ma anche più familiare.”
Le signore che ho incontrato, e la mia breve ma sincera esperienza del luogo, non fanno che dargli ragione.
Giunta alla fine di questa prima parte del mio percorso alla scoperta di una Roma inusuale ma non per questo meno affascinante, non resisto alla tentazione di salutarvi con una delle opere più incisive e coinvolgenti dell’intero comprensorio: “Distanza uomo natura” di Jerico.
Conferma evidente e segno stupefatto di come l’arte, a volte persa nelle sale dei musei, a partire da zone inaspettate come Tor Marancia cerchi di tornare a tutti i costi fra la gente e nel mondo, connettendo, grazie alla bellezza, uomini ad altri uomini, tempi ad altri tempi e luoghi ad altri luoghi.