In questi giorni ho imparato che:
– ritornare a scuola in presenza, dopo un annus horribilis (e mezzo!) passato a intuirsi tramite gli schermi spenti e i microfoni gracchianti della Dad, mi ha fatto venire in mente d’improvviso la differenza fra due affascinanti concetti di matematica: quella che passa fra gli insiemi discreti e quelli densi.
Perché sì, credo fortemente che la tanto bistrattata matematica sia spesso una cava di suggerimenti preziosi da cui osservare il mondo, un utile colle su cui arrampicarsi per vedere più chiaro e lontano il panorama.
Dicevamo. Il mio paragone riguarda la differenza fra quegli insiemi di numeri ben separati fra loro, dove facilmente capisci il successivo e nel mezzo non c’è niente (ad esempio dopo l’1 c’è il 2, dopo il 2 il 3 ecc…) e quegli insiemi di numeri così prossimi da non essere distinti, invece, dove ogni numero scolora immediatamente in un altro senza soluzione di continuità, perché fra due numeri, per quanto vicini essi siano, se ne potrà trovare sempre un altro in mezzo (ad esempio fra 0 e 1 c’è 1/2, ma fra 0 e 1/2 ci può essere ancora 1/4 e fra 0 e 1/4 c’è 1/8 e così via). I primi sono gli insiemi discreti e i secondi quelli densi, appunto.
Perché questo pippone introduttivo? Perché è così difficile spiegare l’indecifrabile eppur netta sensazione che comporta tornare a camminare in ambienti comuni fatti di piastrelle e mattoni, ricominciare a respirare un ossigeno condiviso e ad abitare una stessa luce, partecipando degli stessi rumori, odori e idee nell’aria, a scuola, che l’unico paragone che mi è venuto in mente per rendere al meglio questo flusso vivente e continuo (tanto inafferrabile quanto necessario) della didattica in presenza è stato proprio quello con i numeri degli insiemi densi. Numeri che se la ridono dell’isolamento e dell’individualismo dei compagni discreti, chiusi in se stessi e sicuri delle proprie separazioni, ma conoscono bene quanto il loro essere dipenda da una miriade di loro simili, mai troppo vicini.
Insomma: noi possiamo essere anche solo dei numeri, è vero, ma poi è il tipo di insieme che vogliamo e possiamo costituire che ci determina e ci dà senso;
– capisci che non sei più la professoressa giovinetta che vanamente speravi quando, più che preoccuparti le date di nascita degli alunni in ingresso, ti spaventano quelle dei nuovi colleghi appena assunti, pischelli ma laureati, che ora vedi insegnare di fianco a te;
– gli alunni parlano prima coi capelli che con la bocca. E chissà cosa vorranno dire quei cespugli alti e informi che vagano con agio sulle teste e per i corridoi…
– ricomincia l’anno e avvengono le inevitabili presentazioni dei nuovi docenti a classi inquiete e intimorite. In quei momenti nessuno studente osa intervenire, nemmeno per parlare di sé, temendo di essere poco visibile e al tempo stesso troppo visibile di fronte agli altri, adulti e pari. Mi dovessero chiedere dove sta l’adolescenza, quindi, forse risponderei proprio così: sta sul perenne orlo della vergogna fra la paura di essere se stessi e quella di non esserlo abbastanza;
– il Mago Silvan sarebbe fiero di noi nel vedere come, in tempi appena-post pandemici, riusciamo a far scomparire e riapparire ogni giorno delle classi in aule e a piani diversi, applicando con illusionistica esattezza la sanificata magia degli incastri orari e il calcolo astrologico del numero di banchi disponibili.