Era il Capodanno del 2013 e l’idea era quella di passarlo in allegria con un gruppo di amici in Piazza Maggiore a Bologna, per veder bruciare il Vecchione ed esorcizzare paure e fatiche dell’anno appena trascorso con un brindisi e due saltelli in musica.
Io e la mia cara amica avevamo pure freddo, nonostante la calca da tempi pre-Covid, perché Bologna a dicembre sa essere gelida assai: eravamo vicine e imbacuccate allo scoccare della mezzanotte, pronte a festeggiare e ignare del futuro.
Il tempo di farci e fare gli auguri ai nostri amici non l’abbiamo avuto, però.
È stata questione di un attimo: alla fine del solito conto alla rovescia ci siamo infatti ritrovate all’improvviso strette in una morsa infernale, fatta di braccia forti e facce sghignazzanti di un gruppo di maschi, italiani e stranieri, che ci hanno circondato e palpato dappertutto, cercando di eludere i pesanti giacconi e gli scomposti tentativi di gridare e sfuggirgli.
È stata questione di pochi minuti ma quei minuti ci sono sembrati interminabili.
Alla fine i nostri amici maschi ci hanno dato manforte, e tutti insieme siamo riusciti a spingere via infamando quel branco, liberandoci dalla loro viscida presa. Ricordo perfettamente lo sgomento negli occhi dei nostri amici, e ancor più nei nostri, miei e della mia amica: entrambe fummo incapaci di aprire bocca per molto tempo, accasciate sui gradini della piazza per riprendere il giusto respiro, recuperare il cuore e sentire che il sangue tornava a scorrerci dentro.

Quell’esperienza è stata così assurda e schifosa, nella sua violenza gratuita e crudele, che io e lei non ne abbiamo praticamente parlato più, da allora, e io stessa non ne ho mai parlato in giro, fuorché con gli amici più cari, sul momento.
Sono state le notizie recenti, quelle sui numerosi casi di molestie sessuali ai danni di donne e ragazze in piazza a Milano per questo Capodanno, che mi hanno fatto tornare in mente tutto, e che mi hanno anche spinto a parlarne, per quanto non sia facile né simpatico: perché non si creda che questo “fenomeno” sia cosa nuova, del 2022 o della sola Milano, e perché sempre più è giusto che di tutto ciò si parli, togliendo questi (come una miriade di altri piccoli e grandi terribili episodi simili) dalla pesante coltre di indifferenza e rispetto dello status quo che da sempre li accompagna.
Perché quello di allora come questi di adesso sono episodi di violenza organizzata, voluta e perpetrata con lo specifico obiettivo di umiliare, trattandoli come oggetti, dei corpi femminili percepiti come violabili impunemente, almeno in base alla struttura maschilista della nostra società.

Questo, tra l’altro, non è stato l’unico caso di molestie che io, giovane donna italiana, ho subito nel corso della mia vita: dai palpeggiamenti di uno sconosciuto sull’autobus, ai tempi dell’Università, al tentativo aggressivo di un adolescente mio coetaneo, a 14 anni, di baciarmi anche se non volevo e in ogni modo cercavo di divincolarmi, ai “semplici” fischi e apprezzamenti non desiderati per strada.
Questi sono solo alcuni esempi: purtroppo sono certa che tutte le donne che ho intorno potrebbero portare esempi di molestie subite, lievi o gravi, ma ugualmente inaccettabili e in genere taciute o rimosse.

Eh, sì, perché in fondo anch’io, la mia amica e chissà quante altre donne e ragazze per molto tempo di queste violenze subite non ne abbiamo parlato, e non perché volessimo fare le eroine o perché (ci mancherebbe!) tali esperienze ci siano piaciute.
No, è perché per molto tempo (me ne sono resa conto solo negli ultimi anni) ho pensato che tutto ciò in qualche modo fosse normale: che questo sistema di prevaricazioni rientrasse, in maniera perversa e meschina, nel pedaggio da pagare nella vita per il fatto di essere nata femmina.
E finché un’esperienza non è percepita come un problema reale, diffuso, che appesta la società intera, ma anzi è considerato un fatto quotidiano, naturale, o al massimo relegato alla sfera della tua specifica sensibilità violata, non ti viene di parlarne.
Pensi di essere tu sbagliata, ti viene fatto credere che in qualche modo la colpa sia tua: “te la sei cercata perché eri vestita in un certo modo”, “eri troppo provocante e lui ha reagito, poverino”, “l’hai ingelosito e si sa, l’uomo è cacciatore”, “se ti desidera così tanto dovresti esserne contenta!”… Quanto spesso abbiamo sentito e sentiamo intorno a noi, da conoscenti o notiziari, frasi del genere? Il male è che, a forza di sentirle, ci crediamo.

Proprio questa cultura maschilista di cui siamo tutti (uomini e donne) purtroppo profondamente impregnati, ha quindi fatto sì che fossi io, adolescente, a sentirmi sporca e colpevole dopo le molestie subite dal mio coetaneo, molto più prestante di me e capace di trattenere i miei tentativi di fuga; e che fossi sempre io, giovane donna, a non riuscire a trovare le parole, insieme alla mia amica, per chiamare l’abuso a cui eravamo state sottoposte col suo nome. Da vittime della violenza altrui siamo state educate in modo inconsapevole e ingiusto a sentirci complici di essa.
È per questo che adesso parlo di quello che mi/ci è capitato: perché se anche tutto ciò facesse sentire meno sola una singola ragazza, o più consapevole un singolo uomo, sarebbe già un grande risultato per me.
Perché quando si spaccia per fatto naturale, per normale ordine delle cose, una sopraffazione culturale che dura da secoli, non si può stare sempre lì a guardare. O meglio: si può anche fare, ma a quel punto non lo si fa più in maniera innocente.
È necessario, io credo, che troviamo sempre più spesso le parole adatte per parlare di tutto ciò, e il coraggio per prendere una posizione chiara, senza se e senza ma.

E siccome io alle parole ci credo, credo anche che queste forme di violenza abbiano radici precise da identificare e chiamare per nome. Perché, intendiamoci, la questione degli assalti dei violentatori a Capodanno o delle molestie di vario tipo per strada, nelle case, nei luoghi di lavoro o sui mezzi, non sono solo questione di desiderio sessuale espresso in modo aggressivo e abusante.
Sono ancor più questione di altro: di potere.
Più precisamente, della volontà di imporre il proprio potere su un corpo altrui, che può passare anche attraverso la manifestazione di una spinta sessuale, ma non solo.

Il punto fondamentale, e qui veniamo alla questione centrale, a mio avviso, è che nella nostra società non tutti i corpi sono uguali. E non parlo semplicemente delle differenze esistenti fra le loro forme e dimensioni. Parlo piuttosto della differenza fra corpi disponibili e corpi indisponibili o, se volete, violabili e non violabili.

Il corpo di una donna è percepito nella nostra società, io credo, come un corpo in sé disponibile.
Non è protetto dalla stessa aura di rispetto e autorità che rende infattibile (addirittura impensabile) che sia palpato il culo di un giornalista fuori da uno stadio e rende, invece, possibile (anzi, già accaduto) che sia palpato d’improvviso quello di una giornalista.
È come se il possesso del corpo maschile fosse esclusivo dell’uomo, mentre quello femminile fosse solo momentaneamente affidato a lei, ma di fatto fosse pure un qualcosa di cui l’uomo può sempre servirsi, quando e come vuole.
Quindi il corpo dell’uomo è più al sicuro, sempre per retaggio culturale, rispetto a quello della donna

A meno che. A meno che il corpo dell’uomo in questione non perda l’attributo fondamentale della nostra età dei consumi, cioè la stabilità economica, l’impostazione borghese, insomma il benessere che lo può rendere un perfetto consumatore, inserito nelle logiche di cui tutti siamo, volendo o no, ingranaggi.
Parlo dei clochard, o barboni, o senzatetto, come dir si voglia. Anche i loro corpi paiono essere infatti disponibili, in balia di aggressioni, roghi e omicidi di giovani o addirittura baby gang, come le cronache assai di frequente ci ricordano. Anche i loro corpi, privati del potere d’acquisto, subiscono nei nostri tempi una svalutazione che li ritiene profanabili, violabili, torturabili come quelli delle donne.
Per questo credo che la questione delle violenze su corpi considerati inferiori, disponibili e quindi violabili, sia una questione innanzitutto di affermazione di potere: il tentativo criminale di perpetuare una visione tossica della mascolinità performante e integrata nella società, che tiene fuori e minaccia tutto ciò che non vi rientra.
E qui potremmo aggiungere senza sforzo, nell’elenco dei corpi disponibili, cioè che possono finire in balia delle violenze e degli abusi, i corpi delle persone omosessuali o straniere o disabili, spesso oggetto di assalti e violenze perché non rientrano in quella norma costituita dal “maschio bianco etero abile” stabilita in modo indiretto ma evidente come riferimento ideale della nostra società.
E quando i corpi altrui, semplicemente perché diversi, non completamente comprensibili e appropriabili, diventano violabili, il problema è grave per tutti.
Come spiega bene il filosofo contemporaneo Byung-Chul Han: “Il mondo, costituito solo dal disponibile, si lascia solo consumare. Il mondo perde l’aura, proprio la fragranza. Non consente alcun indugio. […] L’Altro non è un Tu, viene reificato (= diventa una cosa) […] Non lo si interpella in virtù della sua alterità, anzi ci si appropria di lui.”
Tutto ciò che è disponibile diventa appropriabile, anche se si parla di corpi altrui. Tali corpi, anzi, diventano oggetto di conquista e scherno da parte di chi ha un corpo indisponibile e salvo, e quindi ha il potere.

Bisogna anche stare attenti, a mio parere, alle trappole più frequenti in cui cade chi non vede o non vuol vedere la gravità di questo problema per tutti noi.
La prima è quella dell’obiezione classica: “Eh, ma non tutti i maschi sono così. Non tutti abusano, molestano o violentano. Io non lo farei!” Dicono tanti. E menomale. Anche i miei amici maschi la sera di quel Capodanno mai ci avrebbero messo le mani addosso: anzi, ci hanno aiutato a liberarci dalle mani altrui. E io stessa sono consapevole e felice di essere circondata di tanti maschi (amici, parenti, conoscenti, colleghi ecc) gentili, affettuosi, corretti ecc.
Non è però questo il punto, e qui chi non vuol vedere è in malafede. È ovvio e auspicabile che sempre più uomini prendano coscienza di un tale ordine delle cose, e quindi non abbiano tali comportamenti prevaricatori né li sostengano. Ma vista la gravità e la frequenza di episodi di violenza e sessismo che ora più facilmente emergono (per fortuna) vista un’aumentata sensibilizzazione in proposito, non è più possibile, specialmente se si è maschi bianchi etero abili, restare indifferenti.
Il fatto che un maschio non picchi la compagna o non sostenga le molestie altrui non basta a cambiare le cose, purtroppo: bisogna che i maschi siano i primi a prendere posizione verso gli altri maschi violenti e prepotenti, che siano i primi non solo a pensarlo ma a dirlo il loro dissenso, ad alzarsi e agire in sostegno del rispetto per tutti i corpi.

Spesso, anche per uomini ragionevoli e corretti, è difficile farlo, perché tali rivendicazioni di parità e rispetto sono percepite come eccessive. Tale pensiero è riassunto al meglio da Irene Facheris in un libro illuminante, quando dice che “se un problema ci sembra un’esagerazione, spesso è perché non ci riguarda”; quindi chiunque non è sottoposto a discriminazioni o violenze sulla sua pelle spesso, purtroppo, non ha tanta voglia di assumersi lotte che considera altrui.
Ma questo atteggiamento, oltre a rivelarsi meschino ed egoista, non considera neppure che le lotte altrui, altrui non lo sono davvero: una visione distorta del corpo femminile (e dei corpi considerati inferiori, “sbagliati”, disponibili e violabili in generale) crea infatti danno a tutti i corpi, compresi quelli maschili. Costretti, dallo standard sotteso alla nostra società, a incarnare lo stereotipo tipico di una mascolinità aggressiva, prepotente e rozza che viene di continuo proposta a tutti gli uomini, anche ai tanti che in quello stereotipo proprio non ci si ritrovano.

Per questo bisogna stare attenti e uscire da un’altra trappola in cui è facile cadere: non è giusto parlare delle violenze sessiste e sradicare i comportamenti maschilisti perché “pensa se lo facessero a tua moglie/madre/figlia”. Non basta, perché anche se tu, uomo bianco etero, fossi orfano, figlio unico e senza figli, sarebbe giusto comunque che difendessi il corpo delle donne: si tratta infatti di riconoscere il valore del corpo di ogni persona, indipendentemente dal ruolo che questa può assumere. Lo stesso vale per il corpo dei clochard, delle persone omosessuali, disabili, straniere e così via.

Specialmente sulle questioni di violenza di genere, però, è sempre più opportuno che siano proprio i maschi a prendere posizione in proposito, rivendicando il fatto che non debbano esistere più corpi in balia delle violenze, del piacere e quindi del potere altrui, ma tutti possano liberamente agire, muoversi, intraprendere carriere e vivere la loro vita senza la paura che il loro spazio sacro sia invaso, violato, da chi crede di potere tutto.
Questo sarà un vantaggio per tutti i corpi, come dicevo, perché libererà ognuno dal peso delle aspettative di genere: non solo restituirà la dignità e l’ “aura” di rispetto al corpo femminile, ma farà anche capire sempre più alla società civile quanto la maggioranza dei maschi si sia stancata di essere rappresentata solo come bestie o animali incapaci di raziocinio per colpa delle azioni di alcuni loro simili, e quindi voglia stare al fianco delle donne e di chiunque subisca sopraffazioni per aiutarle e aiutarsi.
Permettendo ad esse una vita autentica e serena e a loro stessi di uscire dallo stereotipo prevalente nella nostra società che li vuole aggressivi, anaffettivi, rudi e semplici strumenti del testosterone.

Ognuno, insomma, dovrebbe mettere il proprio privilegio al servizio di chi è discriminato e sopraffatto. Solo così otterremo una società più giusta.
Questo principio semplice e cristallino mi è apparso leggendo il libro ben argomentato, chiaro e coinvolgente di Irene Facheris, che ha posto la mia attenzione su questo punto: ognuno di noi nasce con qualche privilegio, in base ai canoni della società. C’è chi nasce maschio e nella vita avrà per questo meno problemi rispetto a chi è nato femmina; chi nasce bianco, o nell’Occidente ricco, e per questo avrà meno problemi rispetto a chi è nato nero, o extracomunitario; chi nasce abile e per questo avrà meno problemi delle persone disabili; o eterosessuale, e avrà meno problemi nella società rispetto a chi è omosessuale, e così via.

Il segreto, semplice a dirsi eppure difficile da attuare, se vogliamo una società che davvero sia pacifica e accogliente, in cui tutti patiscano sempre meno discriminazioni in base a ciò che semplicemente sono, sta quindi nell’usare il privilegio (o i privilegi) che ciascuno si ritrova per nascita, quindi per caso e senza merito, per sostenere chi questo privilegio (e quindi quel potere di parola e d’azione) non ce l’ha.
Per questo, le parole e le azioni dei maschi possono molto per cambiare la percezione delle violenze di genere, per cambiare il modello di femminile e maschile comunemente accettato, e dare così maggiore dignità a tutti i corpi, non accettando che nessuno sia più in balia della violenza (fisica, psicologica ed economica) di chi ha più potere.
Proprio perché non c’è niente di più etico, altruista e che ci qualifica come persone migliori, di chi sostiene battaglie che non lo danneggiano direttamente, e lo fa “solo” perché queste rendono più facile, degna e serena la vita ad altri da lui.

Permettendogli, magari, di non avere mai più Capodanni fatti di disgusto e paura ma solo di brindisi e risate.

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