In mattine come queste, la scuola è un’ennesima riunione in cui insieme ci si sbatte, e si sbatte poi la testa contro la realtà, pur di cercare quel benedetto metodo creativo che faccia sbocciare un giovane studente in fiore.
In mattine come queste, la scuola è un incrocio casuale e diacronico di ex allieve che ritornano confondendo tempi e classi, e che vogliono tornare là dove sono state bene (e ci tengono a dirlo), ognuna col suo carico di notizie e di lavori, di tesi da scrivere e di mini bimbe da far passare di mano in mano.
In mattine come queste, la scuola è la mano gonfia di una ragazza di quarta, che tutti si fermano a incoraggiare proponendo una personale diagnosi risolutiva, finché non arrivano i paramedici e la portano via con sé, ma sotto l’attenta protezione di una prof, perché è ovvio, se i genitori stanno fino a tardi a lavorare.
In mattine come queste, la scuola è quel posto dove, quasi contemporaneamente, al piano di sopra una classe intera piange la morte improvvisa del padre di una loro compagna, e non si sa chi fra i docenti e gli alunni consoli poi l’altro,
e al piano di sotto si imbandisce nel frattempo un vero banchetto per festeggiare i grandi traguardi d’età di chi è un pezzo fondante del vivere la scuola, ed è bene celebrare e ricordare insieme.
In mattine come queste, la scuola non è “un’agenzia basata su servizi educativi specifici e organizzati”.
O una distributrice di nozioni.
O una assegnatrice di competenze.
In mattine come queste, soprattutto, la scuola è un presidio di umanità.