Andarsene in giro sfidando la democratica usanza a guardare per terra, con intorno un eccesso di mondo che non entra tutto negli occhi.

Spalancarli, guardare da ogni parte.

E mentre le pupille restano attaccate a ogni dettaglio, scoprendolo mai visto in quel momento, non c’è la mente insieme, perché, vaga e lontana, ondeggia rarefatta dentro il primo sole.

Tutto è così dolce e tutto è così estraneo.

La pelle appena intiepidita delle gote ha la stessa dignità del passo in moto, così ritmato e netto, che cerca scuse per sapere dove andare, un qualsiasi motivo per continuare a camminare. Per godersi il primo sole sparso sulle vie lastricate di una città di marzo, dove ci sei tu, senza una ragione saggia che ti tenga.

Quell’angolo di tetto illuminato e quell’ombra diagonale sulla strada restano eterni per quel paio di minuti che purtroppo o per fortuna non potrai allargare.

Non pensi, finalmente.

Non pensi se sei l’unica così, se è giusto oppure no, o se è comune.

O se forse è solo primavera.

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